La mia ultima uscita a piedi risale ormai al lontano dicembre 2015, dolente o meno ho dovuto attendere tutto l'inverno prima di infilare gli scarponi e rimettermi in marcia. Non dico di aver sofferto in questi mesi di attesa ma certo in me è cresciuta una strana e irrefrenabile voglia di sgranchirmi le gambe, quasi da rendermi irrequieto. Nell'ultimo periodo mi sono addirittura paragonato ad un cane husky ululante, ansioso di poter tornare a trainare la slitta nel bel mezzo della natura selvaggia.
Il posto ideale per soddisfare queste voglie non poteva che essere l'Alpe della Luna, luogo caratterizzato da una natura rigogliosa e un po selvaggia, dalle grandi distanze ma soprattutto dalla scarsa presenza umana. L'itinerario lo avevo in mente dallo scorso anno, da quando ero venuto in Alta Val Metauro per un'escursione di due giorni. Già d'allora mi ero promesso di tornare pressappoco nello stesso periodo dell'anno a camminare attraverso i sentieri che circondano le sorgenti del Torrente Auro: il corso d'acqua che assieme al Torrente Meta da vita al Metauro.
Il percorso ideato ricopre in tutto una distanza di 17,5 km ed è caratterizzato da un discreto dislivello, insomma un'uscita fatta apposta per consumare la suola degli scarponi e far dolorare i muscoli delle gambe. Per rendere al meglio l'idea vi invito a guardare la MAPPA.
Una stupenda domenica delle palme decido che è finalmente giunto il momento di mettermi in cammino...
Il cielo è terso, l'aria pura ed il paesaggio incantevole.
Lungo questo primo tratto di sentiero è facile imbattersi in alcuni cartelli giallo-azzurri i quali segnalano i resti di fortificazioni tedesche della linea gotica.
I nazisti temevano che il Passo di Montelabreve fosse scelto dagli alleati per infiltrarsi nella Valle del Foglia. Giunto a questa croce bianca la segnaletica giallo-celeste riappare indicando un punto di vedetta.
In effetti dal piccolo cocuzzolo il panorama è eccezionale... a nord-est vedo nitidamente il Monte Carpegna e poco sotto i Sassi di Simone e Simoncello.
A nord-ovest, anche se non lo conosco affatto ma considerando la posizione dell'appennino in cui mi trovo, credo di vedere il Monte Fumaiolo.
Sotto di me invece scendono le sorgenti settentrionali del Metauro.
E se guardo bene all'orizzonte, in direzione sud-est, vedo la sagoma del Monte Nerone fluttuare tra le nubi.
Continuo il cammino lungo il sentiero 5, tra gli alberi fa capolino la sagoma del Monte Maggiore.
La carrareccia che percorro si appiana e finalmente i miei occhi possono contemplare il cuore dell'Alpe della Luna. Attorno a me trovo radure e fitti boschi; da solo mi addentro in un territorio sconosciuto, leggendario, a tratti selvaggio.
Alcuni passi più avanti trovo queste due croci accanto al sentiero, la più antica poggia su una pietra squadrata con inciso sopra "F.P.L. A.1854.D".
Oltrepassato un vecchissimo muretto a secco, confine dimenticato di chissà quale proprietà e mi ritrovo in una estesa prateria vegliata dall'Alpe. Da qui posso osservare in modo agevole il complesso montuoso ancora ricoperto di neve: a sinistra si trova il cocuzzolo del Monte Maggiore il quale raggiunge i 1384m, a destra è possibile ammirare la grande Ripa della Luna e poco oltre si trova la vetta principale, il Monte dei Frati, 1453m.
Ai margini della prateria vedo scappare tre animali nel bosco difronte a me.
Due esemplari si sono ben mimetizzati mentre uno mi controlla tra gli alberi, credo si tratti di caprioli.
La comoda mulattiera prosegue.
Fino ad un intersezione del sentiero 5 ai piedi del Poggio delle Giavattine. Da queste parti le mappe segnalano la presenza di una grotta detta Tabussa. Preso come sono dall'idea di salire sull'alpe ricoperto di neve e con il costante timore di girare a vuoto per troppo tempo rinuncio a cercare l'anfratto. L'effettivo colore lunare assieme all'aspetto austero di queste montagne, mi attrae sempre più.
Salgo sul Poggio delle Giavattine coperto da boschi ancora spogli.
il sentiero si mantiene in cresta, soffia un vento fortissimo e gelido.
Anche se i segni della primavera, ormai alle porte, sono evidenti.
Finalmente il sentiero si impenna, inizia l'ascesa al Monte Maggiore.
Anche la neve non tarda molto ad arrivare. Dapprima poche chiazze.
Poi trenta centimetri e oltre. Camminare sul fianco settentrionale del Maggiore con la neve alta e ghiacciata, senza attrezzatura invernale, devo ammettere che è stato duro.
Tra la vegetazione osservo il Monte dei Frati, ormai si trova sul mio fianco.
Scendo sul fianco occidentale del Maggiore e raggiungo il sentiero GEA.
La neve su questo versante è assai meno. Viro in direzione sud per aggirare la montagna e raggiungere il valico di Sbocco Bucine.
Giunto quasi al passo la neve sparisce e al suo posto compaiono stupendi bucaneve.
Ecco Sbocco Bucine. Lascio il sentiero GEA ed il versante ovest dell'Alpe per proseguire ad est sul sentiero 90/90bis fino al bivio per Parchiule e poi scendere nella Valle della Gorgascura, dove scorre il Torrente Auro.
Scendo su sentieri che ormai conosco bene.
Passo il capanno dei cacciatori.
Oltrepasso il bivio con il sentiero 90 e continuo in cresta sul 90bis. Mi giro per osservare il Maggiore: d'alcuni è considerata la montagna più meridionale dell'Appennino Romagnolo.
Da questo buon punto di osservazione è possibile vedere anche la catena dell'Ape degradare piano piano verso sud, tra Marche ed Umbria.
Esco dal bosco, l'Alpe si allontana mentre le nuvole invece si avvicinano sempre più.
Mi ritrovo su questo brullo crinale, ottimo punto d'osservazione.
Questa volta c'è foschia e non posso spaziare molto nel panorama ma comunque si vede la parte bassa della valle dell'Auro, riesco ad individuare il villaggio di Palazzo Mucci e poco oltre la conca di Borgo Pace (PU).
Mi riesce anche di vedere il Monte Carpegna ma sarà l'ultimo avvistamento; si inizia a scendere sul serio.Il sentiero punta deciso a valle. Dopo una prima discesa la segnaletica del sentiero 90bis fa una brusca svolta a destra: è la via per Parchiule. Io invece vado dritto sul sentiero non segnalato che conduce al Torrente Auro, nella Valle della Gorgascura.
La mia è una discesa comunque non priva di suggestive cartoline.
Il sentiero si inabissa brusco tra lastre di roccia.
Sull'alpe si addensano lentamente le nubi.
Mi dirigo veloce verso il letto del torrente che difficilmente riuscirò a vedere poiché il sentiero si manterrà a debita distanza per un lungo tratto. Ma vi assicuro che il l'Auro ha acque cristalline, piccoli salti, piscine naturali ed anche una bella cascatella.
Finalmente un segno di civiltà... il Palazzaccio, sono a Gorgascura.
Dopo aver oltrepassato l'unico edificio ancora agibile dell'intera valle, il sentiero finalmente si incontra con il torrente... bisogna guadare. Durante la traversata, non appena alzo lo sguardo dai miei scarponi, mi accorgo che dall'altro lato del corso d'acqua sono presenti numerosi ruderi in pietra. Sono i resti dell'antico castello di Gorgascura i quali partono dal torrente per salire sul colle antistante e perdersi tra la fitta vegetazione. Gorgascura fu un insediamento medievale appartenuto alla famiglia Schiantesi di Montedoglio, in eterna competizione con il castello di Montelabreve, al quale venne incorporato nel 1794 dal granduca di Toscana.
Oltre il guado, raggiungo le case di Cametrongo, queste poche abitazioni incontrate fino ad ora sono evidentemente custodite ma senza fissi abitanti. Qui finisce la Valle della Gorgascura.
A Cametrongo mi ritrovo sulla strada che unisce Parchiule a Montelabreve. Per raggiungere quest'ultimo villaggio bisogna svoltare a sinistra e salire.
Mi muovo piuttosto velocemente lungo la comoda stradicciola ma comunque non esito a voltarmi indietro per un ultimo sguardo in direzione di Gorgascura.
Il cielo è completamente grigio quando arrivo a Montelabreve. L'insediamento, posto poco al disotto del passo dal quale sono partito la mattina, consiste in alcune case sparse ed una chiesa in disuso. Come sempre accade in posti simili, vengo accolto in paese da tre cani che abbaiano a più non posso. Faccio due parole anche con il padrone delle bestie il quale noto, ha uno spiccato accento toscano... e dire che ad un pugno di chilometri da qui parlano in modo molto differente.
La chiesa è ormai in disuso, il suo tetto ha ceduto alle nevi di qualche inverno passato. Sul fianco dell'edificio scovo però una lapide posta solamente il 05 agosto del 2007 dalla comunità di Badia Tedalda sulla quale è scritto:
IN QUESTA CHIESA, DOVE NEL 1886
AVEVA RICEVUTO IL BATTESIMO,
MONS. ERMENEGILDO RICCI,
MISSIONARIO FRANCESCANO MARTIRE
IN CINA NEL 1931, ERA SOLITO SOSTARE
IN PREGHIERA DAVANTI ALLA SACRA
IMMAGINE DELLA
MADONNA DEL CONFORTO
Spero solo che l'immagine sacra non sia rimasta sotto le macerie della chiesa.
Salgo verso il passo, il cielo ormai è plumbeo ma la vista sui monti dell'alpe mantiene sempre il suo fascino di frontiera selvaggia.Ed eccomi arrivato, finalmente! La stanchezza è tanta, ho il fiato corto e la lingua a penzoloni. Pensavo che all'arrivo sarei stato solo come all'andata ed invece trovo una specie di "sagra dell'escursionista".
Raggiungo l'auto, nel farlo saluto uno di questi personaggi che mi guarda con faccia stupita, non ho alcuna voglia di parlare e cerco di andarmene al più presto. Prima di entrare in auto, però, sento le chiacchiere di una donna con alcuni dei suoi aitanti compagni: parla della sua paura di fare escursioni sola anche se ha quasi vinto la sindrome di cappuccetto rosso.
Vabbé... meglio partire verso casa.